Mai come in questa era la capacità negativa è una delle risorse a cui ogni individuo dovrebbe attingere in modo consapevole. Altro che resilienza. Il punto non è resistere. La questione è molto più complessa…
Secondo le ricerche prospettiche del Laboratorio Tea Trends, siamo tutti scorpioni. Nella crisi generalizzata della convivenza, prima o poi le persone usano il loro pungiglione, trasferendo le proprie frustrazioni e enfiagioni, nelle relazioni con gli altri. In macchina, in coda al cinema, nei parchi, in ufficio… ovunque lotte, conflitti, ripicche, aggressioni verbali e non solo (Scenario 2018). Le relazioni sono labirintiche, intrise di post-verità e fake-news. Siamo in un’era definita antropocene, in cui l’impatto degli uomini sul mondo è più forte che mai. Lo stato d’animo generalizzato è il pathos anti-adattivo, una nostalgia che spinge alla fuga dalla realtà. Non facciamo più storytelling, siamo diventati esperti nell’arte della dramification: tutto deve essere esagerato, potenziato, esasperato per emergere tra le altre storie (Scenario 2019).
Come se usare toni alti, accesi, eccessivi fosse la normalità. Quelli non normali (per non dire strani) sembrano essere oggi quelli che chiedono per favore e dicono grazie.
Un piccolo esempio. Spoleto. Passeggiata domenicale con i bambini verso la gelateria. Io, con i miei figli, in coda. Una coppia di signori di mezza età li osserva con lo sguardo stupito, devo dire con insistente curiosità. L’attesa si prolunga: prima di noi c’è una combriccola di ragazzi un po’ indecisi e chiassosi. Niente panico: aspettiamo. Dopo essere riuscita a prendere i gelati per i bambini, ci dirigiamo verso la cassa facendo lo slalom tra i clienti della gelateria, affollatissima. Uno dei due osservatori mi mette una mano sul braccio e mi dice: “Signora, devo farle i complimenti. È rarissimo oggi trovare bambini così piccoli, che non sbraitano per l’attesa in coda”. Un momentaneo narcisismo materno mi inebria: sfoggio un grande sorriso, ringrazio e esco con i bambini. Mentre mangiano il loro gelato, inizio a pensare. La situazione appena vissuta è a dir poco surreale. Surreale che i miei figli siano stati in coda per 10 minuti, prima di tutto J Ma, soprattutto, surreale che un comportamento socialmente rispettoso desti prima l’osservazione curiosa e poi, addirittura, una dichiarazione di approvazione così eclatante. È solo un esempio, questo, non rappresentativo ma, nel mio piccolo mondo, denso di significato…
Di fronte a esplosioni aggressive verbali e non, atteggiamenti rissosi e di rivalsa, desiderio di avere sempre l’ultima parola, che viviamo di continuo di persona, sui social, in tv, ovunque… il buon proposito di sviluppare resilienza non ci abbandona mai. Resistere, resistere, resistere di fronte a così tanta negatività. Per potersi dire, dopo, di essere più forti e per proteggere i propri cari, in primis i figli, da un mondo nevrotico.
Ma io credo che la questione sia più complessa. L’attacco all’altro è diventata una questione culturale, con non pochi risvolti sociologici e antropologici. Un attacco che, in molte occasioni, prescinde dal contenuto e dal contesto: un attacco assoluto. Nuove categorie sociali, assolutamente diadiche: chi attacca e chi deve (necessariamente) difendersi. Allo stesso modo, si intravede un nuovo paradigma antropologico in cui gli ospiti sono in eterna disputa: qualcuno deve vincere e qualcuno deve cedere, non c’è scampo.
Ci piaccia o non ci piaccia, il mondo, ora è così. L’unica vera via d’uscita, per me, è sviluppare la capacità negativa. Trovare il modo di far fronte a tanta negatività, sviluppando risorse personali compensative e integrative. In primis: potenziare la propria capacità di auto-controllo, per non cedere noi stessi all’attacco; fortificare le relazioni stabili con chi merita la nostra fiducia, per rinsaldare la nostra comunità ristretta; governare in modo profondo la propria capacità comunicativa, per saper recuperare un contatto empatico con l’altro, nonostante tutto; costruirsi una mappa di punti di protezione, per sapere a chi chiedere aiuto se necessario.
Queste risorse personali diventano il nuovo nudge, una spinta leggera verso ciò che di positivo ancora c’è. Ne sono sicura.