Una delle fortune della mia vita è di aver trasformato la mia passione in professione. Essere un Coach mi permette di incontrare tante varietà di persone, personalità e caratteri, di imparare, crescere e far crescere.
Nel confronto con aziende, manager e liberi professionisti, un tema ricorrente è quello della fiducia: sia interna all’organizzazione, che esterna. Questo è un concetto oggi straordinariamente importante e che un Coach generativo e risolutivo non può ignorare.
Ma questo vale anche per gli imprenditori e per i leader che devono creare climi in cui le loro risorse possano sentirsi al sicuro ed esprimersi liberamente, dove il senso di appartenenza sia un processo evolutivo in costante crescita e vivere esperienze di unione e di condivisione in alternativa a modelli organizzativi basati su rigide regole e procedure. Questo aiuta le persone a spostarsi da una condizione che genera paura e in cui le decisioni sono basate sullo scegliere quello che aiuterà a sopravvivere, ad un’altra dove viene generata fiducia e in cui esse sono incentivate ad innovare, collaborare, sentirsi emozionalmente coinvolte e far progredire la propria azienda.
Ma non sempre è facile parlare di fiducia. Eppure si tratta di quel fil rouge che tiene unite persone, progetti, reparti, collaborazioni, visioni. Un imprenditore, un leader, non sempre può parlare apertamente dei problemi di fiducia esistenti nel suo team. Perché?
Perché è facile che i membri del gruppo neghino che il problema esista, perché temono che affrontarlo significhi peggiorare il clima, le situazioni e gli equilibri esistenti.
Cosa fare allora?
L’imprenditore, o il leader, coadiuvato dal Coach, ha il compito di preparare il gruppo ad aprirsi piano piano, rispettando il mondo emotivo e le peculiarità caratteriali di ciascuno. Solo così il gruppo sarà più disponibile ad aprirsi sentendo di potersi fidare, di poter risolvere un problema o, almeno, di poterlo trattare insieme in modo inclusivo senza la preoccupazione di peggiorare il “clima”.
Per arrivare a questo obiettivo, ricordo un Team Coaching dove invitai ciascun elemento a raccontare un fatto personale che li aveva colpiti ed emozionati, in positivo o in negativo. Ciascuno di loro aveva condiviso parte di sè che anni di collaborazione non avevano lasciato emergere. L’obiettivo era costruire un clima più collaborativo e costruttivo, in sostanza un clima di fiducia.
Guido era uno di loro, appena lo conobbi mi sembrò un po’ chiuso e poco empatico, tratti che anche il gruppo riscontrava in lui. Eppure, pur con grande impegno nel mettersi in discussione, la sua esperienza di bambino che aveva perso la madre a soli 8 anni e la storia della sua vita colpì e commosse tutti. Da quel momento la sua affidabilità e credibilità agli occhi del team si rafforzarono e la conoscenza più profonda tra di loro li portò a fidarsi di più. Tutti prima dicevano, a parole, di fidarsi l’uno dell’altro ma nella pratica quotidiana non era esattamente così. La mancanza di fiducia interferiva sui processi organizzativi con costi e sforzi incredibili e spesso non misurabili.
Per costruire un clima di fiducia, serve prima di tutto condivisione e trasparenza, è necessario instaurare un esplicitato patto di protezione della fiducia, basato sulla cultura dell’errore che genera fiducia, sulla reciproca conoscenza e il miglioramento della qualità delle relazioni. Serve valorizzare il capitale umano attraverso il miglioramento delle interazioni, costruire cioè una cultura capace di valorizzare le persone e il loro potenziale, affinché si possano fidare e diano il meglio di sé.
“Fiducia” dunque è una delle parole d’ordine e degli obiettivi di ogni Starta Coach, che aiuta aziende e organizzazioni a costruirla concretamente attraverso strumenti di miglioramento della comunicazione e della qualità delle relazioni.
Va da sé che anche le divergenze e i problemi si risolvono più efficacemente e rapidamente quando vige il senso di reciproca fiducia.